Daniel Casarin: Esatto, sì. In effetti, sarà davvero interessante capire in che modo la voce interagirà con questi oggetti e, soprattutto, come integreremo il punto di vista vocale. Da qui deriva anche il modo in cui cercheremo su internet in futuro, sempre di più, attraverso diverse tematiche come la ricerca, ChatGPT e altre tecnologie.
Vorrei tornare sul tema delle best practices, perché mi piacerebbe affrontare con te un aspetto centrale: in che modo vedi l’accesso a queste tecnologie di IA generativa? Sta effettivamente democratizzando l’innovazione per la maggior parte del nostro tessuto imprenditoriale, cioè per le PMI? Oppure, come emerge in alcuni casi, sta aumentando il divario?
Da un lato, le PMI, dal punto di vista macroeconomico, soffrono di una serie di tendenze limitanti; dall’altro, le grandi imprese riescono a sostenere investimenti interni e reti di sviluppo, avendo compreso il valore intrinseco di queste tecnologie. Quindi, secondo te, i sistemi che hanno effettivamente democratizzato alcuni settori stanno ampliando il divario tra le PMI e le grandi imprese? E come vedi le relazioni tra OpenAI e le varie piattaforme con questi due mondi imprenditoriali?
Stefano Gatti: Secondo me, non c’è ancora una risposta definitiva a questa attività. Anche all’interno delle grandi organizzazioni, stiamo cercando di capire come utilizzare queste tecnologie al meglio. Come è stato per il tema dei Big Data, che citavo prima, è piuttosto complesso organizzare tutta la questione relativa alla conoscenza e alla formazione.
Il vantaggio delle grandi organizzazioni è che possono permettersi investimenti, competenze e conoscenze che, a volte, non sono accessibili alle PMI. Questo, di fatto, rappresenta uno svantaggio per le piccole imprese. Tuttavia, proprio questo nuovo “stream” tecnologico potrebbe dare un grande vantaggio alle PMI. Secondo me, lo sviluppo dell’IA generativa e dell’IA in generale facilita e rende più accessibile l’utilizzo di questi strumenti anche per le PMI. Se le PMI riescono a essere più agili rispetto alle grandi organizzazioni, il divario potrebbe persino ridursi.
Il vero tema, secondo me, riguarda la gestione del change management: come le aziende riusciranno a implementare queste tecnologie mantenendo il più possibile la loro agilità interna. Dal punto di vista delle dimensioni aziendali, questo nuovo “stream” favorisce le piccole imprese, anche grazie all’emergere di nuove soluzioni software evolute, come i “copiloti” quasi pronti all’uso, che semplificano l’adozione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per le PMI.
C’è però un’incognita: le PMI riusciranno a compiere questi piccoli passi e a sfruttare questa agilità? In Italia, purtroppo, esiste anche un problema legato all’età media del management e delle persone che gestiscono molte PMI, il che spesso non facilita l’adozione di queste nuove tecnologie.
Secondo me, un aspetto positivo legato all’intelligenza artificiale riguarda il forte orientamento della PMI italiana verso la manifattura. Il prossimo grande sviluppo nell’utilizzo di questi sistemi sarà infatti legato alla robotica. L’Italia ha, a mio avviso, un’opportunità unica di sfruttare l’intelligenza artificiale associata alla robotica, considerando che la manifattura rappresenta una componente fondamentale del sistema economico italiano.
Il connubio tra manifattura e robotica è probabilmente la prossima grande trasformazione che vedremo. Sarà fondamentale essere pronti a cogliere questa opportunità e a facilitare l’adozione.
Daniel Casarin: Sei riuscito a sintetizzare molti concetti importanti, direi di fondamentale rilevanza. Tra l’altro, hai già citato temi come Agile, che portiamo profondamente nel nostro DNA. È una delle metodologie che effettivamente abilita la trasformazione digitale, semplificando il change management e favorendo la sperimentazione.
Quello che abbiamo notato negli ultimi cinque anni è la creazione, o meglio, l’accentuazione di una vera e propria “macchia di leopardo” tra PMI e grandi imprese. La cultura aziendale, infatti, si rivela essere il fattore determinante nell’utilizzo efficace delle tecnologie. Non posso che concordare pienamente con te su questo punto e sono contento di vedere che le tue osservazioni confermano le tendenze che anche noi stiamo notando.
Tra l’altro, hai risposto a tre domande in una con un dono della sintesi perfetto. Passerei quindi direttamente all’ultima domanda, che hai già iniziato a introdurre.
Nelle tue newsletter parli spesso del futuro del lavoro, di ciò che sta accadendo e di ciò che accadrà, approfondendo anche i ruoli professionali. Come prevedi che evolveranno i ruoli in un mondo che è sempre più automatizzato o automatizzabile, applicando determinate forme di intelligenza artificiale? Quali lavori pensi saranno valorizzati e quali rischiano di diventare obsoleti? E, per concludere, cosa consiglieresti a mia figlia, che sta per compiere 13 anni, per prepararsi al meglio a questo futuro?
Stefano Gatti: È una domanda complessa, e parto con un esempio: una professione che è stata sulla cresta dell’onda negli ultimi anni è quella dello sviluppatore software. Fino a sette o otto anni fa, o anche solo cinque, nessuno immaginava che i sistemi di intelligenza artificiale sarebbero stati in grado di scrivere software così velocemente e in modo così efficace. Per questo, la professione di ingegnere del software era considerata una delle più trendy, quella che avrei consigliato a mio figlio.
Poi, negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale generativa ci ha sorpreso: abbiamo visto strumenti come ChatGPT scrivere centinaia di righe di codice in pochi secondi. Questo ha generato timori, e alcuni hanno previsto che il ruolo dello sviluppatore software sarebbe presto scomparso. Si legge persino che, tra cinque anni, nessuno scriverà più una riga di codice. Mi sembra, però, un’esagerazione. Per esempio, dati recenti di GitHub, la principale community di sviluppatori al mondo, mostrano che la domanda di sviluppatori continua a crescere. Sviluppatori di ogni tipo sono ancora richiesti, e questo perché, anche se l’IA può scrivere codice, lo fa in base a ciò che le diciamo. Se le istruzioni non sono corrette, il codice generato sarà pessimo.
Siamo ancora agli inizi di questa tecnologia: l’IA funziona bene per linguaggi di programmazione supportati da grandi corpi di conoscenza, ma per creare agenti complessi servono competenze che chi non ha mai scritto una riga di codice non possiede. Il ruolo dello sviluppatore si trasformerà, magari si scriveranno meno righe di codice, ma gli sviluppatori diventeranno più simili ad architetti di sistemi complessi. Conosceranno sempre il codice, ma si occuperanno di progettare e supervisionare sistemi ingegneristici.
Per i giovani, il vero problema sarà non perdere l’opportunità di apprendere come si scrive il codice e come funziona. Questa conoscenza sarà fondamentale per interagire con gli strumenti di IA, identificare errori e rendere gli agenti più efficaci. Ritengo che, per diversi anni o addirittura decenni, sarà necessario sapere come si scrive un codice per comprendere e collaborare con le macchine.
La trasformazione interesserà molte professioni. Sarà cruciale imparare a utilizzare i sistemi di IA, conoscerne i limiti e correggerne gli errori. Ad esempio, nell’ambito della data science, l’intelligenza artificiale generativa non prevede direttamente ricavi o trend aziendali: scrive codice utilizzando librerie come Python e simula parte del lavoro che prima svolgeva un data scientist. Tuttavia, è ancora necessario sapere come usare Python, verificare i parametri e comprendere se l’output generato è corretto. L’IA non elimina l’utilizzo di strumenti tradizionali, ma li rende più veloci e accessibili.
In futuro, i data scientist probabilmente passeranno meno tempo a scrivere codice e più tempo a concentrarsi sui problemi di business, rispondendo a domande poste dai CEO o dai direttori marketing. Il loro ruolo sarà più vicino al business, ma non meno importante.
Infine, penso che sarà sempre più importante fare le domande giuste piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulle risposte. A tua figlia di 13 anni consiglio di imparare a utilizzare questi sistemi, ponendo le domande corrette e verificando le risposte ricevute. È essenziale non lasciare che le macchine prendano decisioni importanti in autonomia, ma piuttosto usarle come supporto, basandosi su una solida conoscenza di base.
Questa conoscenza si acquisisce anche provando e interagendo con queste tecnologie, magari utilizzando ciò che forniscono come punto di partenza invece di partire sempre dal foglio bianco. Una difficoltà che noto, anche in azienda, è garantire ai giovani un processo di formazione completo. Spesso si tende a saltare i fondamentali, come dicono giustamente gli americani. Questa, secondo me, è una delle sfide principali.
Daniel Casarin: Ecco, perfetto. Stefano, non so davvero come ringraziarti per il tempo che ci hai dedicato. Hai sintetizzato concetti di estrema importanza e di grande valore. Grazie ancora per la tua disponibilità, per la tua partecipazione e per le risposte che ci hai dato.
Continueremo a seguirti e a promuovere, come sempre, la tua newsletter in lungo e in largo, perché, ripeto, è di enorme valore, soprattutto per noi qui in Italia. Grazie ancora per il tuo contributo e speriamo di rivederci presto.
Daniel Casarin, imprenditore ed analista indipendente, si dedica al mondo della comunicazione, del marketing, del business design e della trasformazione digitale. Con oltre 20 anni di esperienza, esplora l’impatto delle tecnologie emergenti in ambito economico e organizzativo. Attraverso Adv Media Lab e altre iniziative imprenditoriali, collega la sua expertise multidisciplinare al mondo dell’impresa.
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