Andrea Signorelli – Milanese, classe 1982, giornalista freelance. Scrive di innovazione digitale e del suo impatto sulla società per La Stampa, Wired Italia, Domani, Il Tascabile, Esquire Italia, cheFare e altri.
La visione di metaverso di Mark Zuckerberg sembra essere già afflitta da parecchi limiti.
Perché dovremmo voler passare una parte consistente della nostra quotidianità immersi in un mondo in realtà virtuale che ci isola e ci aliena, separandoci da tutto ciò che ci circonda? Davvero il mondo fisico e quello digitale – che fino a oggi sembravano destinati a integrarsi sempre di più – sono invece destinati a dividersi così nettamente?
Se l’isolamento del metaverso in realtà virtuale promosso da Meta non è l’ideale, nemmeno lo è però il rapporto con la tecnologia che abbiamo oggi. Per essere sempre connessi alla rete – com’è inevitabile nella nostra società occidentale – siamo costretti a vivere praticamente attaccati allo smartphone, camminando con la testa china su uno schermo e costretti a spostare continuamente lo sguardo per passare dal mondo fisico a quello digitale, con cui ci interfacciamo tramite uno schermo.
È qui che entra in gioco una tecnologia che sembra avere le potenzialità di risolvere i limiti sia del metaverso che degli smartphone: la realtà aumentata. Per quanto venga spesso associata alla realtà virtuale, la AR (augmented reality) è per molti versi antitetica a essa. Se la realtà virtuale, come detto, ci fa immergere completamente in un mondo digitale, quella aumentata sovrappone invece elementi digitali al mondo fisico.
Per esempio, invece di camminare alternando lo sguardo dalla strada alle indicazioni di Google Maps sullo smartphone, con un visore in realtà aumentata è possibile vedere le indicazioni digitali sovrapposte direttamente sull’asfalto. Allo stesso modo, è possibile far comparire in sovraimpressione le informazioni di un monumento o leggere le notifiche dei social network senza distogliere lo sguardo da ciò che ci circonda.
Non solo. Come ha spiegato recentemente proprio Mark Zuckerberg, il metaverso per avere successo deve prima superare una sorta di “test di Turing visuale” : creare cioè un ambiente digitale dalla fedeltà talmente elevata da generare un’esperienza assolutamente verosimile. Un compito difficilissimo, al cui scopo Meta sta investendo enormi quantità di denaro destinate allo sviluppo di prototipi sperimentali che non si sa quando – e se – potranno davvero fornirci un livello di esperienza così elevato.
Come segnala Louis Rosenberg , CEO e responsabile scientifico della società di intelligenza artificiale Unanimous AI, la realtà virtuale rende inoltre necessario che “tutti i segnali sensoriali (vista, suono, tatto e movimento) alimentino nel nostro cervello un singolo modello mentale del mondo. Con la realtà aumentata, invece, ciò può essere ottenuto anche con una fedeltà visiva relativamente bassa, almeno finché gli elementi virtuali sono registrati spazialmente e temporalmente in modo convincente. Poiché il nostro senso della distanza è relativamente grossolano, non è difficile che ciò avvenga”. In sintesi, creare un’esperienza visivamente immersiva e verosimile è molto meno complesso in realtà aumentata che in realtà virtuale . E allora perché questa tecnologia è ancora oggi così poco utilizzata?
Nel dettaglio parleremo di:
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Realtà aumentata, i flop di Google Glass e Magic Leap
I primi prodotti commerciali di massa in realtà aumentata risalgono infatti a circa sei anni fa, quando venne lanciato Pokémon Go: il gioco in AR che consentiva di visualizzare tramite smartphone dei mostriciattoli digitali all’interno dell’ambiente fisico. Il limite di questo utilizzo della realtà aumentata è evidente: farne esperienza tramite schermo non è per niente seamless : non offre infatti la possibilità di unire i due mondi – digitale e fisico – in maniera priva di frizioni, fluida e senza soluzione di continuità.
E se invece questo mondo arricchito digitalmente fosse proiettato direttamente davanti ai nostri occhi tramite un visore, che cosa cambierebbe? Se le cose andassero così – e cioè visualizzassimo degli elementi digitali (come le indicazioni stradali) sovrapposti al mondo fisico (per esempio l’asfalto) – ecco che avremmo davvero a disposizione la versione definitiva dell’integrazione dei due mondi, che si fonderebbero in un’unica soluzione permettendoci di superare tutti i limiti delle altre soluzioni finora individuate.
Facile a dirsi, molto più difficile a farsi. Era addirittura il 2012 quando Google svelò il prototipo dei suoi Google Glass in realtà aumentata. Il progetto fallì rapidamente non solo per l’elevato costo (1.500 dollari) e il fatto che mettessero a disagio sia chi li indossava sia chi si trovava nei paraggi, ma soprattutto per la mancanza di una killer app che rendesse davvero evidente il vantaggio di questi occhiali intelligenti rispetto ai normali smartphone.
La storia si è incredibilmente ripetuta quasi dieci anni dopo con Magic Leap , la startup più promettente e ambiziosa del settore che però, nel 2020, ha annunciato il licenziamento di mille persone (circa metà del suo staff) e la volontà di abbandonare la conquista del mercato di massa per puntare esclusivamente su quello aziendale.
Un drammatico ridimensionamento per la società, fondata in Florida nel 2010, che per lunghi anni ha tenuto il mondo digitale col fiato sospeso, centellinando i demo che mostravano una augmented reality immersiva in cui draghi digitali facevano capolino nell’ambiente fisico e in cui le notifiche dei social network comparivano direttamente davanti ai nostri occhi.
Magic Leap era il più promettente unicorno del settore hardware: una realtà in grado di raccogliere finanziamenti pari a 2,6 miliardi di dollari da colossi come Google, JP Morgan, Alibaba, AT&T, Morgan Stanley, il fondo pubblico dell’Arabia Saudita, Qualcomm Ventures e altri ancora. Quando però, verso la metà del 2019, è giunto il momento di mettere in commercio il suo primo prodotto, chiamato Magic Leap One, le enormi aspettative si sono tradotte in un dolorosissimo flop. L’allora CEO della società Rony Abovitz aveva affermato di voler vendere un milione di dispositivi nel primo anno: a sei mesi dal lancio invece, nel dicembre 2019, ne erano stati acquistati solo seimila. Troppo ingombranti, troppo costosi (2.300 dollari) e soprattutto dotati di troppe poche applicazioni per convincere i consumatori a spendere tutti questi soldi per un prodotto fondamentalmente casalingo, destinato ai videogiochi, inutilizzabile in mobilità a causa dell’eccessivo ingombro che li avrebbe costretti a girare per strada conciati come dei cyborg.
Ma se l’obiettivo (mancato) di Google Glass e Magic Leap One – che nel frattempo si sono entrambe riconvertite all’uso professionale, seguendo la strada tracciata da Hololens di Microsoft – era quello di creare un dispositivo completo di tutte le funzionalità, sacrificando però la confortevolezza, ci sono parecchie altre aziende che stanno invece seguendo la strada opposta, dando vita a una serie di dispositivi tecnologicamente limitati ma che possiamo indossare nella quotidianità , come se fossero dei normali occhiali.
Se l’isolamento in realtà virtuale non è l’ideale, nemmeno lo è però il rapporto con la tecnologia che abbiamo oggi. È qui che entra in gioco una tecnologia che sembra avere le potenzialità di risolvere i limiti del metaverso: la realtà aumentata.
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Realtà aumentata, la strada di Meta e Snapchat
L’esempio più noto è sicuramente quello dei Ray-Ban Stories, prodotti in collaborazione da Meta e dall’italiana Luxottica e che sono quasi indistinguibili da dei normali Ray-Ban , pesando tra l’altro solo cinque grammi in più di un normale paio di Wayfarer (uno dei modelli disponibile in versione smart).
Ma quali sono le funzionalità di questi occhiali smart? Prima di tutto, va subito chiarito che i Ray-Ban Stories sono privi di qualunque funzionalità in realtà aumentata. Si tratta infatti di semplici smart glasses in grado di scattare foto, girare video e farci ascoltare la musica o parlare al telefono usando a questo scopo degli auricolari e microfoni integrati. Tutto qua?
È probabile che questi occhiali intelligenti – di cui non sono ancora noti i numeri delle vendite – vadano incontro a una tiepida accoglienza. È però altrettanto probabile che per Meta non sia così importante il successo immediato di questo primo modello, il cui obiettivo potrebbe anche soltanto essere di farci abituare gradualmente a un futuro in cui indosseremo visori in realtà aumentata, creando dei primi occhiali smart dalle dimensioni normali a cui aggiungere – mano a mano che la miniaturizzazione della tecnologia lo consente – degli elementi tecnologici sempre più avanzati, fino ad arrivare a presentare dei veri e propri Ray-Ban in realtà aumentata.
C’è una società, di cui si parla raramente, che però sembra essere (almeno per il momento) quella più avanzata sotto il fronte dei visori in realtà aumentata: Snapchat. La società nota per il social network che per primo ha inaugurato le Stories – poco usato in Europa, ma che conta comunque quasi 350 milioni di utenti quotidiani – ha infatti presentato circa 12 mesi fa l’ultima versione dei suoi occhiali Spectacles. Con un peso di soli 134 grammi (contro i circa 50 di un paio di occhiali normali) e un design dallo stile decisamente cyberpunk, i visori creati dai laboratori della società fondata da Evan Spiegel sono gli unici che abbinano un aspetto quasi normale a delle vere e proprie lenti in realtà aumentata.
A differenza delle precedenti (e di scarso successo) versioni degli Spectacles, questa nuova edizione non è stata messa in vendita, ma è destinata soltanto a un numero limitato di sviluppatori.
Tra le funzionalità già oggi disponibili – per restare a quelle che ho potuto provare in prima persona, durante una presentazione riservata alla stampa che si è tenuta a Milano – c’è la possibilità di sovrapporre dei prati fioriti al pavimento di casa e di vedere delle farfalle digitali posarsi sulla vostra mano fisica, di proiettare il sistema solare all’interno di una stanza, di sfuggire a zombie che escono dalle pareti, di dipingere graffiti sui muri fisici e altri giochi di questo tipo.
Per il momento, quindi, si tratta di divertenti curiosità legate più che altro all’intrattenimento e che rappresentano solo un embrione di ciò che ci attendiamo da questo mondo. Ciononostante, Snapchat ha mostrato di essere al momento la più avanti di tutte: l’unica società a livello globale in grado di creare visori AR utilizzabili quasi come normali occhiali.
I limiti, però, sono ancora parecchi : i nuovi Spectacles hanno una batteria che dura al massimo 30 minuti, una longevità certo non sufficiente per un utilizzo costante come quello immaginato per il futuro; inoltre, gli oggetti digitali non coprono il nostro intero spettro visivo, ma si trovano solo al centro di esso, limitando l’immersività. In più, tendono facilmente a surriscaldarsi e non sempre il funzionamento è fluido.
Nonostante tutto, Snapchat ha dimostrato di essere una realtà all’avanguardia in un settore chiave per il futuro. “Credo che nessuno si aspettasse che fossimo già a questo punto, tutti gli altri prodotti in commercio sembrano degli elmetti. Ma invece di costringere le persone a cambiare il loro comportamento affinché si adatti alla tecnologia, dobbiamo cambiare i dispositivi e la tecnologia affinché si adattino agli esseri umani”, ha affermato, parlando con il Financial Times, il fondatore di Snapchat Evan Spiegel.
Eppure, a differenza delle versioni precedenti (tutte dei flop commerciali ), quest’ultima versione degli Spectacles – come detto – non è stata messa in vendita, probabilmente per evitare che si ripetessero gli insuccessi del passato. Visti i continui fallimenti, è inevitabile porsi una domanda: c’è qualche possibilità che i visori in AR vadano incontro ai desideri dei consumatori?
Nonostante i numerosi insuccessi che si sono susseguiti in questa fase pionieristica, i colossi della Silicon Valley sono convinti che il futuro passi inevitabilmente da qui. Lo dimostra il fatto che tutti continuino ancora oggi a puntarci e che a breve potrebbe venir presentato il primo modello di una società nota per fare il suo ingresso in un nuovo settore solo quando i tempi sono maturi per presentare un dispositivo pronto per l’adozione di massa: Apple.
Apple non ha inventato il lettore mp3, ma ha creato l’iPod. Non ha inventato lo smartphone, ma ha dato vita all’iPhone. E adesso starebbe puntando a ripetersi anche nel campo della realtà aumentata. D’altra parte, lo stesso CEO Tim Cook l’ha affermato qualche mese fa durante una conferenza: “La realtà aumentata pervaderà ogni aspetto delle nostre vite”.
Un’affermazione di questo tipo non può essere casuale. E infatti – secondo quanto riportato dal blogger Ming Chi-Kuo, una delle fonti più attendibili del settore – Apple si prepara a mettere in commercio, nel corso forse già di quest’anno, un visore in mixed reality (pensato principalmente per la realtà virtuale, ma con qualche limitata funzione in AR) e poi, attorno al 2025, a lanciare dei veri e propri occhiali in realtà aumentata, che dovrebbero unire le funzionalità di dispositivi come il Magic Leap One a un design piacevole e facilmente indossabile (al prezzo di circa 3mila dollari).
Al di là delle promesse, che almeno in qualche caso sicuramente non verranno mantenute, quanto tempo deve ancora passare prima che questi strumenti si diffondano realmente, andando poi gradualmente a sostituire lo smartphone come nostro dispositivo base per l’utilizzo quotidiano? Secondo quanto affermato da più parti, si tratta di una prospettiva distante ancora circa 5-10 anni. Quando però questa prospettiva finalmente si realizzerà, come sarà il mondo in cui digitale e fisico sono sovrapposti? Quale sarà il modello di business imperante?
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Il modello di business della realtà aumentata
In realtà, questo futuro di totale integrazione tra mondo fisico e virtuale avrà un elemento in comune con l’ambiente digitale del presente: la pubblicità. Se già oggi le inserzioni personalizzate rappresentano il modello di business dominante per social network e non solo, nell’ambiente in realtà aumentata in cui un domani potremmo vivere tutto ciò sarà ancora più pervasivo.
Per avere un esempio, basti guardare a come, nel 2017, sono stati sfruttati dal punto di vista pubblicitario i già citati Pokémon Go. Niantic, la casa produttrice, aveva infatti stretto una partnership con McDonald’s e altre catene commerciali affinché i personaggi dei Pokémon venissero collocati digitalmente all’interno dei loro negozi, attirando così milioni di ulteriori potenziali clienti. Secondo uno studio della Purdue University, i negozi entrati a far parte della rete del gioco hanno incrementato le vendite del 4% nel periodo preso in esame.
Più recentemente, durante la presentazione degli Spectacles di Snapchat avvenuta a Los Angeles nel mese di maggio 2021, è invece stato mostrato come questi visori permetteranno di provare digitalmente i vestiti che si desiderano acquistare, sovrapponendoli al nostro corpo e superando così uno degli ostacoli principali all’acquisto online dell’abbigliamento.
La maggior parte delle potenzialità pubblicitarie di questo strumento devono però ancora essere immaginate: c’è chi prevede che, un domani, i manifesti pubblicitari del mondo fisico proietteranno annunci digitali differenti a seconda di chi li inquadra, oppure che le vetrine dei negozi davanti alle quali passiamo mostreranno digitalmente i capi di abbigliamento a cui potremmo essere più interessati.
Dai personal computer allo smartphone, dallo smartwatch fino ai visori in realtà aumentata. Allargando il campo, la tendenza è chiara: la tecnologia si integra sempre di più con il corpo umano mano a mano che il mondo digitale e quello fisico si fondono tra loro . Dove potremo andare, guardando ancora più avanti? Probabilmente, verso niente meno che le lenti a contatto smart.
Mojo Vision è una startup californiana fondata nel 2015 che ha l’obiettivo di portare la realtà aumentata direttamente sulla retina. In questo modo, appoggiando le lenti a contatto sugli occhi, non sarà possibile solo zoomare digitalmente sugli oggetti, ma avere anche a portata di sguardo tutta una serie d’informazioni: ruotando gli occhi verso sinistra potrete vedere la temperatura, le previsioni meteorologiche e altre informazioni utili. Puntando lo sguardo a destra otterrete invece le condizioni del traffico e le alternative migliori al tragitto per recarvi al lavoro. Verso l’alto, a ore 12, si trova invece il calendario degli appuntamenti e una lista delle cose da fare.
Il progetto – di cui esistono solo dei primi prototipi – ha raccolto finora oltre 200 milioni di dollari da realtà come Gradient Ventures, la Stanford University, Motorola e altri. Stando a quanto affermato da Mojo Vision , ci vorranno ancora anni prima che un prodotto iniziale approdi sul mercato, e nessuno si stupirebbe se queste smart lens (che inizialmente saranno un dispositivo medico per chi soffre di disturbi oculari) subiranno ritardi o peggio, soprattutto considerando che il tasso di difficoltà è tale che due delle prime realtà ad averne studiato le applicazioni – Samsung e Google – sembrano aver abbandonato il campo.
Al netto di ritardi, promesse eccessive, delusioni e difficoltà, una cosa però è certa: nel nostro futuro, la realtà aumentata giocherà un ruolo molto importante. E forse si rivelerà l’innovazione più ricca di potenzialità della nostra epoca. Altro che metaverso.