Roberto Siconolfi – classe ’83, campano, sociologo, saggista, mediologo.
La mediazione è una vera e propria arte in grado di risolvere le controversie. Un metodo che può essere utilizzato in vari ambiti della società umana.
Mediare, negoziare, sapersi porre con equilibrio ed equanimità nella risoluzione delle questioni, è un’abilità.
Un’abilità, una skill , richiesta nelle dinamiche del mondo aziendale, ma anche nei micro-contesti sociali e in quelli macro (politica internazionale).
Ma mediare è una qualità che va ricercata, posseduta, allenata, raffinata . Essa non cade dal cielo né tantomeno è alla portata di tutti.
Saper mediare è un’arte, ed è utile nell’edificazione di realtà pacifiche e costruttive.
In questo articolo approfondiremo:
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Mediazione e conflitto: due parti nella relazione umana
Ad un livello complessivo, della propria fenomenologia, potremmo definire sia la mediazione che il conflitto come due parti, talvolta complementari, o successive, della relazione umana.
Potremmo identificare entrambe come lo stato di pace o quello di guerra, quello di quiete o agitazione/conflitto, stati che sono innanzitutto interiori, e che dall’interiorità umana si riverberano nel mondo esterno , e dunque inevitabilmente nella relazione con l’altro.
Se mediare è dunque uno stato di equilibrio , nel quale le parti in relazione, due o più soggetti, soggetti individuali o collettivi, convergono verso uno stesso punto, senza attriti, o senza particolari attriti; dall’altro lato il conflitto è un po’ come il tirare alla corda e sbilanciarla tutta da una parte, mettere più peso in uno dei due piatti della bilancia.
Certo, entrambe le modalità contribuiscono a mantenere un equilibrio complessivo, come abbiamo visto dagli esempi, entrambe le modalità rientrano nell’unità, seppure in modo diverso.
Dunque, da ciò possiamo evincere che sia la mediazione che il conflitto sono momenti della relazione che vanno accettati , e non respinti in quanto disdicevoli (ci riferiamo in particolar modo al conflitto, il quale esso stesso può evolversi in un nuovo stato di equilibrio).
Entrambi rappresentano l’agire umano , oltre che la sua indole e la sua interiorità come abbiamo visto, entrambi sottintendono il riconoscimento dell’altro, delle esigenze delle quali è portatore e pure dell’utilità che può arrecare alle nostre di esigenze.
Mediazione: gli ambiti sociali
La mediazione come arte, ma anche come scienza e prassi, la possiamo rintracciare in diversi ambiti della relazione umana.
Da uno prettamente sociale, societario o socio-economico, a uno di tipo culturale, della relazione tra diverse etnie, nazionalità, identità.
Sempre in un ambito di tipo sociale, ma più legato al mondo delle relazioni, la mediazione è una prassi fondamentale nella risoluzione delle controversie familiari .
E poi, quello aziendale, quando la mediazione diventa negoziazione, una delle skills richieste anche nel mondo del lavoro (pure dal WEF) .
Infine, l’ambito politico e politico-internazionale, dove sempre il metodo e la capacità negoziale diventano fondamentali nello sventare oltre che le controversie tra paesi o zone geopolitiche, anche i conflitti, la cui portata potrebbe essere catastrofica, visti gli sviluppi delle tecnologie e degli armamenti delle superpotenze (vedere situazione internazionale attuale).
“Mediare, negoziare, sapersi porre con equilibrio ed equanimità nella risoluzione delle questioni, è un’abilità.”
Mediazione: la figura del broker sociale e le sue funzioni
In ambito sociale ed economico la mediazione viene compiuta ad opera di una figura specifica: il social broker[1] .
Il social broker è colui che mette in collegamento i depositari di risorse di prim’ordine , i patroni , ovvero gli imprenditori che detengono risorse come terra, impieghi, borse di studio e conoscenza specializzata, con coloro che non dispongono di tali risorse ma che in qualche modo ne hanno bisogno e che possiamo definire clientes .
Da questo punto di vista, proprio per questa cerchia di conoscenze, il social broker , o mediatore sociale , è un particolare tipo d’imprenditore , detentore di risorse di second’ordine (struttura e volume della sua rete sociale) che manipola per suo personale profitto .
Secondo Jeremy Boissevain: “un mediatore sociale (social broker) mette le persone in comunicazione le une con le altre, sia direttamente che indirettamente, allo scopo di ottenere profitto. Egli colma lacune della comunicazione tra persone e gruppi, strutture e anche culture. La gamma di mediatori è molto ampia e varia da coloro che controllano la comunicazione tra parenti e il cui motivo di profitto è più latente che manifesto, agli intermediari politici, il cui mezzo di scambio sono servizi, informazione e voti, fino a quegli specialisti, come i sensali di matrimonio e gli agenti immobiliari, le cui relazioni sono di carattere quasi esclusivamente commerciale, dal momento che la loro tariffa viene in larga misura pagato in contanti.”[2]
Mediazione culturale: dai migranti alla società
La mediazione culturale, invece, nasce con l’intento di inserire i migranti all’interno della società italiana , ma via via si evolve in qualcosa che supera il momento semplicemente emergenziale dando vita ad una vera e propria categoria socio-professionale.[3]
Dunque: “La mediazione è finalizzata a facilitare la comunicazione e la comprensione, sia linguistica che culturale, fra l’utente di etnia minoritaria (e, per estensione, una comunità di etnia minoritaria) e l’operatore di un servizio pubblico, in contesto di poteri impari, rispettando i diritti di tutte e due le parti” (COSPE , 1993)[4]
Tre sono gli ambiti nei quali è richiesta la mediazione culturale, secondo Johnson e Nigris (1996)[5] :
In presenza di comunicazione tra persone di culture diverse
In contesti istituzionali asimmetrici
Quando vi sono gruppi culturalmente non dominanti in situazione di inferiorità, che subiscono processi di stereotipizzazione da parte della cultura dominante
Dall’ambito dei migranti si è poi passati ad un livello socio-professionale integrale e che copre tutti gli ambiti relazionali e istituzionali (familiare, culturale, interculturale, sanitario, giuridico, ecc.).
In sintesi, si esige la pratica della mediazione quando è necessaria una soluzione in una disputa interpersonale o intergruppi, o quando vi è incomunicabilità .
E per far sì che una mediazione abbia luogo occorre che le parti richiedano la presenza di un terzo come mediatore e che tale soggetto sia d’accordo a mediare.
Essa è dunque un processo volontario e consenziente.
Mediazione: modelli a tappe
Nella pratica della mediazione vengono individuati dei precisi modelli a tappe.
Uno è quello proposto da Beer e Stief (1997)[6] , costituito dai seguenti passaggi:
L’apertura è dichiarata spesso attraverso un colloquio
Tempi di dialogo per ciascuna persona
Scambio di argomenti e dibattito
Costruire un’agenda e delle regole per lo svolgimento del dibattito
Costruire un accordo fra le parti, per l’arrivo ad una soluzione condivisa
Scrivere l’accordo, in modo da rendere evidente la comprensione
Chiudere la mediazione
Un altro modello a tappe viene da Besemer (1999)[7] , e prevede:
Una fase preliminare (presa di contatto delle parti, motivazione alla partecipazione, preparazione dei mediatori)
Il colloquio di mediazione con un’introduzione, un ascolto delle singole parti e il chiarimento/approfondimento del conflitto
La soluzione (o un abbozzo del problema)
La fase d’accordo
Altro modello di mediazione è quello cross-culturale teorizzato da Gulliver (1979)[8] , il quale introduce il termine di negoziazione in luogo di quello di mediazione, termine e prassi che tornerà quando parleremo dell’ambito aziendale.
Le tappe del modello sono otto:
Ricerca dell’arena, ovvero del luogo riconosciuto dalle parti dove si svolgerà la mediazione
Definizione di un piano e degli argomenti
Esplorazione del campo, con i partecipanti che danno la loro versione dei fatti
Restrizione delle differenze, con i partecipanti che iniziano a cercare i vari punti di accordo, andando verso una cooperazione
Preliminari per il patteggiamento finale
Patteggiamento finale e incremento delle convergenze di posizione
Ritualizzazione dei risultati, che varia dall’Occidente dove si sottoscrive un accordo, ad altri contesti (es. Gambia), dove si procede con una stretta di mano, o una preghiera, uno scambio di oggetti, o una bevuta insieme
Messa in atto dei risultati
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Mediazione: modelli e tecniche orientati
Ancora, Fritz propone una suddivisione dei modelli di interazione in base a cosa siano orientati[9] :
Sui partecipanti , con un modello a tappe che si concentra sulle parti, le quali si rivolgono al mediatore per capirsi meglio
Sulla soluzione , e qui il mediatore facilita e dirige la discussione per giungere ad una soluzione
E poi:
La mediazione trasformatrice , nella quale si punta al cambiamento dei partecipanti, all’emancipazione e al riconoscimento delle parti
La mediazione narrativa , nella quale si sviluppa una storia del conflitto, coinvolgendo i soggetti, raccontando e de-costruendo la storia, creando una nuova storia che modifichi o riduca il conflitto
La Humanist Integrated Process (HIP) , ovvero un modello integrato che accentua l’esperienza culturale, l’emancipazione e la creatività delle parti in gioco
Oltre ai modelli, abbiamo anche delle tecniche specifiche che sono fondamentalmente centrate o sull’azione sui soggetti (raccogliere informazioni, esercitare pressione riflessiva, promuovere empowerment, non azione) oppure sulla relazione (tranquillità, stabilire un piano, raccordo, integrazione, problem solving, rappresentazione) (Wall, Stark, Standifer, 2001)[10] .
Mediazione: esiti, limiti e vantaggi
Gli esiti fondamentali della mediazione sono l’accordo e la soluzione del problema , ma oltre a ciò importante è il grado di soddisfazione.
E ancora l’imparare a prendersi tempo , un importante stile educativo e atteggiamento cognitivo utile nel confronto con gli altri.
Sempre come insegnamento che si può trarre da una mediazione vi è il riconoscimento dell’identità dei soggetti , infatti una importante ricerca (Henderson, 1996)[11] mostra come la mediazione porti a risultati più soddisfacenti quando avviene utilizzando tecniche centrate sulla relazione tra le parti, piuttosto che sulla soluzione .
Ma la mediazione può essere influenzata da vari fattori (Wall, Stark, Standifer, 2001)[12] , ovvero:
Il livello di conflittualità
La disponibilità delle risorse
La tipologia dei problemi
L’impegno dei partecipanti
Infine, ad influenzare l’esito della mediazione vi sono gli effetti del potere, per cui l’accordo arriva quando il potere delle parti è equilibrato.
Non è detto che la mediazione sia sempre risolutiva , il suo scopo è soprattutto di favorire la ricerca delle diversità per mostrare più punti di vista (Cima, 2005)[13] .
Essa inoltre può influenzare in malo modo la libertà e le opinioni delle parti, e in quanto tale assume un grande potere.
Dal punto di vista dei vantaggi, essa è utile nei conflitti sociali di lunga durata , per affrontare le problematiche tenendo conto dei reali bisogni di contrapposizione portando gli individui ad acquisire consapevolezza e responsabilizzazione .
Gli individui sono riconosciuti come agency (Bandura , 2002)[14] , e cioè agenti pianificatori delle proprie azioni e dei propri obiettivi.
Infine, la mediazione è utile a ripristinare una comunicazione interrotta o compromessa, e permette il confronto reciproco, l’ascolto delle parti e il rispetto dei tempi.
Mediazione: il ruolo e le competenze
La mediazione procede sulla base delle caratteristiche e delle competenze del mediatore.
La prima delle caratteristiche che può influenzare l’esito di una mediazione sono i modelli mentali del mediatore (Bazerman, Curhan, Moore, Valley, 2000[15] ; Thompson Hastie, 1990[16] ).
Ma anche le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell’influenzare la pratica della mediazione.
E poi importante è lo status del mediatore , che deve godere della fiducia delle parti.
L’obiettivo principe del mediatore e che emerge spesso dalla conduzione della pratica è la neutralità , sia nel senso dell’atteggiamento imparziale che nello stile comunicativo.
Infine, fondamentale è l’autorevolezza, così come la self-efficacy , ovvero l’autoefficacia , l’autovalutazione che la persona ha delle proprie capacità (Bandura, 1977[17] ; Bandura, 1982[18] ) e che è in grado di influenzare i processi cognitivi e motivazionali.
Collegato a ciò vi è la credibilità , necessaria al mediatore per ricevere fiducia dalle parti.
“Negoziare è un metodo che va acquisito, si può nascere negoziatori, ma va comunque studiata e coltivata la capacità di negoziare.”
Mediazione: contesto e comunicazione
Importante è anche il contesto e l’interazione sul piano comunicativo.
Saper ascoltare è la parola d’ordine, ecco le tappe per farlo in maniera attiva :
Ascoltare bene la richiesta o il discorso
Prima di rispondere accertarsi se si è capito ripetendo brevemente il discorso
Sapere qual è il quadro di riferimento culturale dell’interlocutore
Riassumere tenendo conto di tutto ciò per verificare se la comprensione è avvenuta
Rispondere
Alla base di ciò, di un buon ascolto attivo, è necessario che vi siano alcuni presupposti:
Sospendere il giudizio , senza definire prima l’interlocutore
Osservare ed ascoltare , raccogliendo le informazioni
Mettersi nei panni dell’altro , in modo empatico, cercando di far proprio il punto di vista dell’interlocutore
Verifica della comprensione , sia sui contenuti che sulla relazione, riservandosi anche la possibilità di fare ulteriori domande
Curare il contesto della comunicazione per far sentire l’interlocutore a proprio agio
E poi, bisogna tenere conto dei toni, delle posture, della mimica facciale, delle emozioni, non solo delle parole, e anche di quello che gli interlocutori tentano di dirsi.
Mediazione: Metodi alternativi di risoluzione delle controversie (MARC)
Infine, affrontiamo la mediazione dai microcontesti civili a quelli macro della politica internazionale , tecniche e procedure che sono catalogate come Metodi Alternativi di Risoluzione delle Controversie (MARC) , oppure Alternative Dispute Resolution (ADR).
I MARC sono di quattro tipi:
I negoziati, ovvero dialoghi a due, senza mediatore, molto usati nella politica internazionale (vedere conflitto arabo-israeliano, Unione Europea, ecc.)
La mediazione civile, in ambito legale, dialogo diretto, ma con presenza di mediatore che lo facilita, e la cui decisione finale non è vincolante
L’arbitrato, ovvero l’affidamento della causa ad una terza parte la quale prende una decisione autonoma
La mediazione familiare, in particolare legata a separazione e divorzio tra coppie, di solito inserita in un quadro di conoscenze di taglio legale e psico-sociologico (vedere approccio sistemico-relazionale )[19]
Homo videns: la modifica delle menti umane
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Mediazione e negoziazione: l’ambito aziendale
Se mediazione e conflitto sono due aspetti della dimensione umana, e della relazione umana, essi saranno sicuramente riproposti in tutti gli ambiti della vita. Uno di questi è sicuramente quello lavorativo, economico, aziendale.
In questo caso, la mediazione assume più l’aspetto della negoziazione, che tra l’altro è inserita nell’elenco delle soft skills fondamentali anche da organismi di notevole potere economico come il WEF, nel report Future Jobs 2020 .
Ma saper negoziare è un arte, che non è e non può essere data per scontata, né tantomeno come una specie di accessorio della personalità, o una caratteristica che alcuni hanno e altri no.
Negoziare è un metodo che va acquisito, si può nascere negoziatori, ma va comunque studiata e coltivata la capacità di negoziare.
Viceversa, si possono non avere grandi doti di negoziazione ma si può comunque studiare e coltivare tale capacità.
Con questo vogliamo dire che negoziare non è una capacità accessoria, ma è una qualità, una skill che ha un enorme peso nel mondo economico e aziendale.
Bisogna imparare a negoziare , e avere doti innate a riguardo potrebbe essere sicuramente una marcia in più, ma non basta.
Mediazione e negoziazione: lo spirito, il contesto, la strategia
Sempre nell’ambito aziendale riscontriamo quanto effettuare una mediazione, o meglio una negoziazione, sia una vera e propria scienza, oltre che un’arte e una prassi, con una sua metodica, una sua strategia, un’appropriata analisi del contesto, un suo spirito.
Negoziare è una scienza e una prassi, che richiede capacità e disciplina , direbbe Alessandra Colonna , autrice de Il manager della negoziazione[20] , oltre che AD di Bridge Partners, la prima società italiana specializzata proprio in consulenza manageriale e alta formazione per lo sviluppo per le capacità negoziali.
Negoziare non significa fare compromessi , che rappresentano una duplice e semplicistica rinuncia.
Negoziare non significa cedere o concedere, causando pericolosi precedenti nei quali l’altro può non esserci grato e approfittarsi di noi con avidità. E in più svalutando l’idea stessa che abbiamo di noi, risultando pure poco convincenti.
Negoziare non significa imporsi, dire di “no”, compromettendo la qualità della relazione e provocando un aumento del conflitto fino ad andare fuori controllo.
Negoziare significa saper contrattare, dare e avere.
Mediazione e negoziazione: tecniche e trappole
Negoziare è un’arte come dicevamo, ma come ogni buona mediazione va nutrita con tecniche appropriate, strategie che evitino di incappare in errori e trappole .
In particolar modo quattro sono le fasi della negoziazione :
La preparazione , che consiste nel chiarire a fondo il proprio irrinunciabile obiettivo, evitando di agire alla cieca nelle fasi successive
Il dialogo , che invece è teso a comprendere i bisogni altrui, diversamente dalla prima fase (preparazione), ascoltare e fare domande più che parlare
La proposta , che è volta a conciliare i bisogni propri e quelli dell’interlocutore. È utile per iniziare a giungere ad una fase costruttiva del dialogo, evitando polemiche e recriminazioni
La chiusura , nella quale l’imperativo è evitare la fretta, ritenendo che troppo tempo sia passato e che dunque si debba giungere ad una conclusione che però non porta a nulla di buono. Bisogna chiudere sì la trattativa, ma giungendo ad un soddisfacente risultato.
E sulla base di ciò dieci in particolare sono gli errori, le trappole , che fuoriescono dal giusto metodo negoziale:
Improvvisare , pensando che si ha la capacità per negoziare solo perché si ha esperienza e perché ci si auto-proclama tali
Cedere o viceversa imporsi o mercanteggiare , azioni senza metodo, che come abbiamo descritto in precedenza non portano ad alcun risultato
Non avere obiettivi chiari , e dunque sapere come entrare e come uscire in una trattativa, senza andare a tentoni
Non fare domande , e dunque non sapere quali sono le esigenze della controparte, ma anche semplicemente sapere di più sul suo conto
Non ascoltare , anche se si pensa di farlo in pochi in realtà ascoltano
Non comunicare con chiarezza , comunicare bene porta ad un risparmio di tempo e a maggiore fiducia
Non mettere condizioni alle concessioni, e dunque saper essere flessibili mantenendo la credibilità – utilizzare l’espressione “se tu…allora io”
Non fare proposte , che sarebbe come non dare mai l’avvio alla trattativa e che rappresenta anche un atto di responsabilità
Chiudere per chiudere , che è peggio che non chiudere una trattativa, in quanto gli effetti derivati potrebbero espandersi a macchia d’olio – molto meglio non avere fretta o non chiudere proprio
Savoir-faire , negoziare non è essere gentili, ma un metodo ben preciso. Una vera e propria competenza che andrebbe portata dal campo delle soft skill a quello delle hard .
“Saper mediare è una vera e propria scienza, oltre che un’arte e una prassi, e dunque in quanto tale va ben sviluppata e allenata, e non è alla portata di tutti.”
Mediazione e negoziazione: figure e ruoli
Dunque negoziare richiede una vera e propria professionalizzazione del ruolo , così come abbiamo definito in precedenza la mediazione/negoziazione è una capacità, una scienza e una prassi.
Ma negoziare non è un metodo statico, deterministico, ma un qualcosa di dinamico basato sulla consapevolezza . Una scienza non predittiva, che però spiega le fasi del processo.
I passaggi di un giusto metodo sono:
Definire un giusto metodo – vedere la prassi UNI
Certificare, attraverso enti opportuni – vedere Bureau Veritas – CEPAS
Creare dei negoziatori professionisti – vedere figura del negotiation manager, con competenze in merito a consulenza, supporto alle dirigenze aziendali, ecc..
Tutti passaggi fondamentali anche ad un opportuno mercato del lavoro relativo a questa figura.
Infine, decisiva è la figura del gregario , vera e propria spalla nel momento negoziale.
Il gregario è in grado sia di vedere da un altro punto di vista, da un’altra angolazione il processo di trattativa, ma anche di contenere eventuali effervescenze del soggetto in negoziazione.
Un ruolo al quale si può e si deve allenare anche chi non ha vocazioni prettamente gregarie ma che di solito conduce le trattative.
Mediazione: dal campo aziendale al digitale
Scendendo in un ambito più prettamente commerciale, il marketing, il campo delle vendite, oggi è possibile rintracciare nuove forme di mediazione.
Punti vendita, telefonate e tutti i modelli conosciuti di vendita restano ancora in piedi, ma nel frattempo avanzano quelle di tipo digitale.
Alcuni dei metodi di vendita digitale sono :
L’email, utilizzata dal 73% dei professionisti, risorsa di vendita al digitale tra le più vecchie e che probabilmente rimarrà un pilastro di tale settore
I social media, usati dal 32,6% dei venditori, ma ritenuti i più efficaci dal 50,3% rispetto al 42,6% della posta elettronica
Le recensioni on line e le testimonianze, utilizzate come supporto alla vendita ai fini del coinvolgimento della clientela dal 38,6%, e giudicata dal 61,4% come la più efficace.
Il digitale è il supporto sempre più importante anche nel campo del marketing, e si afferma con un maggiore grado di personalizzazione del prodotto, creando più consapevolezza.
Si tratta di fidelizzare , connettersi alla persona, e poi renderla un cliente.
Un processo che può durare mesi o anni, volto a generare lead piuttosto che clienti, diverso dalla vendita, che è invece diretta al cliente, e che è immediata .
Per la la vendita è invece fondamentale:
Essere attivi nei social network, per conoscere ed individuare meglio i potenziali clienti
Dare potere ai clienti, che con le loro referrals sono i migliori evangelizzator i del business
Fare webinar ed eventi sul web, su argomenti di interesse, in grado di fidelizzare ulteriormente
Produrre contenuti originali e case study , che possano attirare altri clienti, con post per blog, paper, magari interagendo nei forum presentando i propri contenuti
Un’evoluzione, dunque, che non riguarda solo la digitalizzazione nel senso di apparato, ma che è anche culturale , con i venditori che devono anticipare le richieste dei clienti, utilizzando i canali digitali, analizzando i dati e adattandosi ai vari cambiamenti in corso.
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Mediazione: funzione fondamentale di tutti i rapporti umani
Società ed economia, corpi intermedi e istituzioni internazionali, soggetti, popoli e culture: il ventaglio coperto dalla mediazione è notevole, se non totale, e ciò dimostra quanto essa sia una prassi che trova radici nell’animo umano.
Come dicevamo all’inizio, essa è l’altro lato del conflitto, complementare ad esso e non per forza alternativo.
Ma saper mediare è una vera e propria scienza , oltre che un’arte e una prassi, e dunque in quanto tale va ben sviluppata e allenata, e non è alla portata di tutti.
Professionalità e conoscenza, in aggiunta a doti probabilmente innate, personali: tutte carte vincenti per una sana e fruttuosa mediazione.
Bibliografia
[1] Vargiu A., Il nodo mancante. Guida pratica all’analisi delle reti per l’operatore sociale , Franco Angeli, 2001.
[2] Boissevain J. Friends of Friends, Basil Blackwell, Oxford, 1974, pp. 147-154. Trad it. dal cap. 7 col titolo Manipolatori sociali: mediatori come imprenditori , in Piselli F. (a cura di), Reti. L’analisi di network nelle Scienze Sociali , Doninzelli Editore, 2001.
[3] Riccio B., Villano P., Culture e mediazioni , Il Mulino, 2008.
[4] COSPE, Immigrati/risorse, la figura del mediatore culturale, le prime esperienze ed i percorsi formativi a confronto, Bologna, Atti del seminario Cospe, 1993.
[5] Johnson P., Nigris E., Le figure della mediazione culturale in contesti educativi , in E. Nigris (a cura di), Educazione interculturale, Milano, Mondadori, 1996, pp. 369 – 414.
[6] Beer J.E, Stief E., The Mediator’s Handbook , Gabriola Island, British Columbia, New Society Publishers, 1997.
[7] Besemer C., Gestione dei Conflitti e Mediazione , Torino, Ega Editore, 1999.
[8] Gulliver P. H., Disputes and negotiations: A cross-cultural perspective , New York, Academic Press, 1979.
[9] Fritz J. M., Derrière la magie: Modèles, approches et théories de médiation , in Esprit Critique, 3, 2004, pp. 9-16.
[10] Wall J. A., Stark J. B., Standifer R. L., Mediation: A current review and Theory Development , in Journal of Conflict Resolution, 45, 2001, pp. 370-391.
[11] Henderson D. A., Mediation success: An empirical analysis , in Ohio State Journal on Dispute Resolution, 11, pp.105-147.
[12] Op.cit.
[13] Cima R., Abitare le diversità. Pratiche di mediazione culturale: un percorso tra istituzioni e territorio , Roma carocci, 2005.
[14] Bandura A., Social cognitive theory in cultural context , in Applied Psychology: An International Review, 51, 2002, pp. 269-290.
[15] Bazerman, Curhan, Moore, Valley, Negotiation , in Annual Review of Psychology, 51, 2000, pp. 279-314.
[16] Thompson L., Hastie R., Social perception in negotiation , in Organizational Behavior Human Decision Processes, 58, 1990, pp. 327-345.
[17] Bandura A., Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavioral change , in Psychological Reviews, 84, 1977, pp. 191-215.
[18] Bandura A., Self-efficacy: Mechanism in human agency , in American Psychologist, 37, 1982, pp. 122-147.
[19] Nell’approccio sistemico-relazionale l’individuo è concepito come parte integrante dell’evoluzione della famiglia di cui fa parte. L’approccio proviene dalla psicologia sistemica, fondata da Gregory Bateson e Paul Watzlawick del celebre Mental Research Institute, detto anche Scuola di Palo Alto.
[20] Colonna A., Il manager della negoziazione. Creare valore e capitale sociale in azienda , Mind Edizioni, 2014.